In un lontano passato, quando i bambini giocavano per strada rincorrendo una palla di stracci, gli uomini si dedicavano a lavorare la terra tornando a casa al tramonto, le donne si prendevano cura della casa nutrendo lo spirito dei suoi abitanti.
Impastarlo a mano era pratica comune. Ogni massaia ha saputo confezionarlo seguendo le indicazioni impartite da nonne e mamme, vere detentrici dei segreti della loro ricetta che con pazienza e soddisfazione si sono premurati di tramandare alle giovani donne di casa.
Cucinare invece era compito di esperti mastri fornai; avevano l’enorme responsabilità di cucinarlo in grandi forni a legna, lavorando per ore e ore per garantire a tutte le famiglie il loro pane quotidiano croccante e profumato.
Di forma rotonda o allungata, liscia o tessuta, del peso di mezzo chilo o molto di più, il caldo e invitante pane dorato si consumava solo quando prendeva posto a tavola il capofamiglia, l’unico a cui era concesso di rompere la sua integrità e distribuire generosamente le sue fette spesse.
Avere fame a tavola era quindi un’usanza, e spesso tenere sotto controllo i morsi della fame dei più piccoli diventava un’impresa difficile capace di mettere a dura prova anche la pazienza dei Santi. Lo sapeva bene donna Maria, madre forte e combattiva, i cui figli rivendicavano a qualunque ora del giorno un misero, ma vitale, pezzo di pane.
Dopo notti insonni passate alla ricerca di un rimedio che piacesse ai suoi figli e che non mancasse di rispetto al loro instancabile padre, Donna Maria ha avuto un’intuizione: “Li nutrirò di pane senza dar loro pane”. La mattina presto impastò la consueta quantità di acqua, farina e sale, poi ne aggiunse ancora un po ‘, quel tanto che bastava per dare vita al figlio più piccolo del pane: il tarallino.
Con le sue dita nodose e minute crea piccoli rotoli di pasta, li taglia a pezzi lunghi pochi centimetri che chiude in forma circolare. Non erano tutti uguali, ma avevano un aspetto invitante, avevano il cuore e il sapore del pane fatto in casa e profumavano di grano appena macinato.
In poco tempo si sparse la voce sull’intuizione di Donna Maria e così i mastri fornai si trovarono a cuocere, oltre al pane, quei curiosi ritagli di pasta tanto amati da grandi e piccini. Gli uomini li mangiavano durante le faticose ore di lavoro nei campi per ristabilire i loro corpi stanchi; i bambini le hanno assaggiate tra i banchi di scuola e sui campi di calcio improvvisati in terra battuta; le donne li assaporavano durante brevi e meritate pause dai lavori domestici e dai ricami.
Senza saperlo, Donna Maria aveva creato quello che nei secoli sarebbe diventato il simbolo indiscusso della cultura gastronomica pugliese; l’antenato dell’odierno tarallino pugliese, il cui gusto è stato ora esaltato dall’aggiunta di olio extravergine di oliva e vino bianco.
Il suo gusto è un inno alla semplicità e ai sapori genuini; la sua forma tonda, simile a quella dell’ombelico materno, è un inno all’amore: nient’altro, infatti, può suggerire alla mente se non le braccia di Donna Maria che innamorata cinge i suoi figli non più affamati.